nov 192014
 
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Giovedì 13 il Comune di Fidenza ha aderito ad Avviso Pubblico, la rete di enti locali che sviluppa e promuove i temi della legalità e del controllo delle infiltrazioni mafiose. È un tema che mi sta molto a cuore come sa chi ha seguito le cose che abbiamo detto e fatto da quando sono segretario del Pd di Fidenza.

Non è sempre stato così, ho scoperto Avviso Pubblico in tempi relativamente recenti (grazie ad un libro di Marco Arnone, “La corruzione costa. Effetti economici, istituzionali e sociali”). Scoperto nel vero senso della parola e cioè come parte di un percorso che va oltre l’informazione fine a se stessa. La scoperta è un passaggio verso la conoscenza. E poi verso la responsabilità. Un percorso che don Peppe Diana ripeteva quasi ad ogni messa e che sappiamo cosa gli costò. Scoperta, conoscenza e responsabilità, informarsi, approfondire e prendersi carico delle conseguenze.

Che in Italia esista un’associazione che s’impegna nella lotta alle mafie lo si sa anche solo sentendo un telegiornale la sera. E ci vuole forse anche poco per ammirare quel che fa don Ciotti perché alla fine si prova quasi istintivamente empatia verso chi ci mette la faccia in modo così onesto e pulito, rischiando così tanto. E però poi spesso ci si ferma a quello. Ci si ferma all’ammirazione. Che non serve a niente. Non serve a niente “la moda della lotta alle mafie”, non serve a nulla organizzare dibattiti fine a se stessi.

Serve un percorso, un proprio personale percorso verso la scoperta, la conoscenza e la responsabilità. Un percorso ogni volta diverso e infatti Libera non è un’associazione, ma una rete di associazioni, nomi e numeri. E lo stesso Avviso Pubblico, dentro alla quale ci sono sindaci di diversa espressione politica e approccio culturale.

Serve individuare e denunciare, nelle singole località e prima dell’intervento della magistratura, una serie di situazioni che presentano delle criticità. Le prime commissioni antimafia ricevevano i dossier di documentazione su affari sospetti molto più spesso dai sindacati che dalla polizia. Pio La Torre viene da quella esperienza. Viene prima dell’azione delle forze dell’ordine.

Oggi purtroppo e invece c’è una parte importante della società italiana che esprime consenso verso la “cultura” e il metodo mafioso.
Che sono quella cultura e quel metodo per cui pochi è meglio che tanti, per cui la sostanza ha sempre bisogno di un aiutino perché la forma purtroppo la ostacola, per cui l’importante è “vivere e lasciar vivere”, per cui il riferimento è alla legge del più forte, anziché a quella del bene comune. Non è certo più solo quella della coppola e della lupara. La cultura e il metodo mafiosi sono fatte di persone che si presentano ben vestite, che spesso parlano più di una lingua straniera, che sanno maneggiare e investire soldi (tanti soldi) che allacciano e intrattengono rapporti con avvocati, commercialisti, imprenditori, direttori di banca, politici. Che siedono in consigli di amministrazione. Che vivono e fanno affari, leciti e illeciti, in tutta Italia e in altri Paesi europei ed extraeuropei. Questo è il nuovo volto delle mafie italiane, in particolare della ‘ndrangheta: “[…] persone e reti imprenditoriali che hanno strumentalmente alimentato l’idea che la mafia sia un fenomeno meridionale allo scopo di poter fare i loro affari con i mafiosi senza troppi problemi. Mafiosi e imprenditori si sono cercati -e si cercano- reciprocamente, soprattutto al nord” (P.Romani)

Questo percorso era nel nostro programma elettorale, che finalmente comincia a intravvedersi dietro gli atti della nuova amministrazione. Finalmente si concretizzano quegli impegni su cui avevamo chiesto la fiducia ai cittadini. Che non è mica una cosa da poco chiedere a qualcuno di darti la fiducia su una cosa che è stata svilita da anni di gestione del consenso, di vabbè, di “ma tanto cosa vuoi che cambi”, di “si, ma son tutti uguali”..

Si promise in campagna elettorale di “Creare una vera zona di educazione contro le mafie” e l’altra sera abbiam sistemato due bei tasselli di questo puzzle, assieme a Salsomaggiore.

L’altra sera la politica ha dato un segnale, che è il solo l’inizio di un percorso, ma è un segnale importante, perché ha saputo prendere una decisione, ha chiamato il Consiglio ad assumersi una responsabilità, a dimostrare come la credibilità delle istituzioni non ammetta uno scollamento tra parole e azioni, tra l’enunciazione di principi e la realtà.

E quindi è bene che con questa delibera il Comune vada oltre il gesto di per se encomiabile e cominci a dare una “forma organizzata” alla cultura della legalità, attraverso strumenti e opportunità di coinvolgimento della comunità locale in un percorso di informazione e formazione. Perché la criminalità non rappresenta solo un problema di ordine pubblico, ma impedisce la crescita economica attraverso regole deviate dell’economia e impedisce la crescita di una comunità sostituendo i principi di apertura con quelli della chiusura, frutto della paura. Non parliamo di spiccioli; la Corte dei Conti stima il costo della corruzione in 60 miliardi di euro all’anno, denaro che si muove tra un paradiso fiscale e l’altro in attesa di essere reinvestiti nell’acquisto di pregiati immobili, gioielli, ed altri beni materiali. L’altra sera abbiamo ribadito che la mafia e la corruzione sono incompatibili con la democrazia, punto. E che partecipazione e trasparenza sono davvero il cuore della politica e dell’economia.

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