mar 302010
 

Il sottoscritto Luigi Toscani, consigliere del gruppo PD,

Constatato

- che il torrente Stirone sulla sponda sinistra in località C.Rossi (Strada comunale del Carretto)  ha eroso circa 200 m. di argine e terreno agricolo (non golenale) per circa 3000 mq.;
- che l’azione erosiva delle acque minaccia ormai il traliccio dell’alta tensione posto nei pressi;
- che lo stesso torrente sulla sponda destra, in corrispondenza di via Illica prima del ponte stradale, ha eroso la golena dove sorgono opifici,

Interpella

La giunta per conoscere quali iniziative sono state intraprese presso gli enti preposti alla manutenzione e sistemazione delle opere idrauliche al fine di rimediare al predetto dissesto idro-geologico.

Si richiede risposta scritta.

Luigi Toscani
ltoscani@pdfidenza.it

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mar 302010
 

Premesso

- che la legge 30 marzo 2004 n. 92 istituisce  il 10 febbraio “giorno del ricordo” in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata;
- che dal 2005 sempre si è celebrata tale giornata in questa sede;

alla luce delle seguenti considerazioni

Trattato di pace della II guerra mondiale
Il 10 febbraio 1947 fu firmato a Parigi il trattato di pace fra gli alleati e le ex potenze dell’Asse che mise la parola fine alla II guerra mondiale: l’Italia cedeva alla Jugoslavia vincitrice Fiume, il territorio di Zara, gran parte dell’Istria, del Carso triestino e goriziano e l’alta Val Isonzo. In questo territorio avevano convissuto pacificamente in passato diversi gruppi nazionali, almeno sino alla I guerra mondiale.

Le foibe
Al termine del II° conflitto mondiale, il I° maggio 1945 alle 9.30 la IV Armata Iugoslava entrava in Trieste e Gorizia dal confine orientale e occupava l’intera Istria precedendo la II Divisione Neozelandese giunta il 2 maggio.
Durante i 40 giorni di occupazione i partigiani comunisti jugoslavi perpetrarono il più grande massacro di cittadini italiani non impegnati in operazioni militari dell’intera storia nazionale.
Il massacro ebbe fine il 9 giugno quando Tito e il comandante dell’VIII armata britannica generale Alexander tracciarono la linea di demarcazione Morgan; essa prevedeva due zone di occupazione – la A e la B – dei territori goriziano e triestino, confermate poi dal Memorandum di Londra del ’54 (tale linea definisce ancor oggi il confine orientale d’Italia).
Per troppo tempo la tragedia delle foibe è rimasta sotto silenzio, non comparendo mai sui libri di testo dei nostri giovani né divenendo oggetto di dibattito storico, tanto che solo pochi oggi sanno; essa è stata motivo di contrapposizione politica tra destra e sinistra specie nell’immediato dopoguerra, momento di estrema debolezza politica italiana, e per tutto il periodo della guerra fredda, senza mai emergere e divenire una questione nazionale.
Non vi fu una diffusa condanna e ciò non è imputabile a un solo partito; furono le Istituzioni del nostro Paese che, dopo una guerra di aggressione persa, optarono per il silenzio poiché il ricordo si sarebbe esteso ai delitti italiani in Istria e  Dalmazia nel corso dei venti anni del fascismo dal 1922 al 1943.
La destra ha usato il dramma delle foibe per i propri rancori anti-slavi e anticomunisti e per screditare la Resistenza addebitandole la responsabilità di quanto avvenuto; la sinistra ha cercato di dimenticare la tragedia affinché non si parlasse delle responsabilità del comunismo; i moderati preferirono evitare lo scontro con Tito, all’epoca capo di uno stato “revisionista” non più allineato con l’URSS.
Non è possibile  capire i processi storici ragionando nell’ottica esclusiva delle singole storie nazionali che rimanderebbe all’infinito una riconciliazione per una convivenza civile tra i popoli dell’Unione Europea.
La Slovenia fa parte dal 2004 della U.E. e festeggia dal 2005 il 15 settembre, entrata in vigore del trattato di Parigi, come festa nazionale con la denominazione “Festa dell’unione del litorale con la madrepatria”.
Le violenze di massa nei confronti principalmente di italiani furono opera dei partigiani di Tito. Esse avvennero in due ondate, la prima nell’autunno del 1943 dopo l’8 settembre in seguito all’armistizio dell’Italia con gli Angloamericani, la seconda, di maggior entità e ferocia, nella primavera del 1945 alla fine del conflitto. Furono colpiti militari della ex RSI, appartenenti all’apparato di polizia, rappresentanti dello Stato Italiano e i temuti partigiani italiani; durante 40 giorni furono incarcerati e eliminati l’intero comitato di liberazione nazionale di Trieste, nonché autonomisti fiumani antifascisti e in generale gli italiani che potevano costituire un ostacolo alla slavizzazione forzata e all’annessione del Friuli Venezia Giulia alla Jugoslavia.
In definitiva vennero colpiti tutti coloro che non facevano parte dell’esercito di liberazione iugoslavo, anche gli antifascisti che avrebbero potuto mettere in discussione la pretesa di Tito di monopolio dell’antifascismo; riguardo quest’ultimo aspetto si può affermare che un movimento resistenziale rivoluzionario si stava trasformando in regime e ne fagocitava un altro. Secondo il Centro Studi Adriatici i morti furono 10.137 di cui 7000 infoibati. [N.B.: occorre ricordare che negli stessi giorni del ’45 avveniva in Slovenia nel bosco di Kocevije il massacro di 12.000 collaborazionisti slavi, domobranci (nazisti sloveni della difesa territoriale) e ustascia (fascisti cattolici croati). Le vittime totali del mattatoio balcanico dal ‘41 al ‘45 conseguenti alla guerra di aggressione italiana e alla contrapposizione fra partigiani comunisti, ustascia e cetnici (serbi monarchici ortodossi) furono circa 1.706.000].
La repressione anti-italiana fu attuata al semplice sospetto e nell’indifferenza per l’accertamento delle responsabilità personali, secondo modalità staliniste ormai presenti nella prassi degli organi di sicurezza dello stato iugoslavo appena costituito.
In queste zone durante le fasi finali del II° conflitto mondiale era in atto da parte dei titini una lotta che nel contempo poteva considerarsi  sia guerra di liberazione e di affermazione nazionale, sia guerra civile e rivoluzione; essa si affermò coi modi delle rivoluzioni, col bagno di sangue, sangue italiano poiché italiana era la metà della popolazione e la grande maggioranza degli abitanti dei centri urbani e perché italiana era l’ostilità al progetto di annessione alla Jugoslavia comunista.
Si stagliò il ruolo egemonico del partito comunista iugoslavo sul movimento resistenziale, partito che già nel ’42 aveva abbandonato le posizioni internazionaliste e si stava indirizzando verso un esasperato nazionalismo; esso non ammise nessun altro soggetto politico autonomo concorrente, da cui la divisione fra “i nostri” e gli “altri” che costituì il criterio guida delle politiche repressive nei confronti dei nemici del passato, gli occupatori, i nemici del presente, gli oppositori al movimento di liberazione, nonché i nemici del futuro, i soggetti che potevano diventare pericolosi per il consolidamento del regime comunista.

L’esodo
Dopo il Trattato di pace di Parigi del 10-02-1947 sino a fine anni ’50 circa 250.000 italiani, la metà degli abitanti dei territori interessati, abbandonarono le terre istriane stabilendosi nei campi profughi di tutta la penisola italiana. I profughi dell’Istria pagarono la sconfitta dell’Italia nella II guerra mondiale e le scelte dissennate del ventennio fascista.
Ciò comportò la scomparsa totale del gruppo nazionale italiano da alcune delle sue regioni di insediamento storico, spezzando una continuità che durava dall’epoca della romanizzazione.
Fu un esodo a tappe i cui picchi seguirono al Trattato di Pace di Parigi (’47) e al Memorandum d’Intesa di Londra (5-10-’54) sottoscritto dai governi di Italia, Regno Unito, Stati Uniti e Jugoslavia concernente il territorio libero di Trieste, coi quali furono decise le sorti della Venezia Giulia.
Gli esodi di massa e l’abbandono di ogni proprietà, non arrestabili nemmeno dalla dichiarazione italiana dell’impossibilità di accogliere simile moltitudine,  avvennero quando le popolazioni italiane furono ben consce che il potere iugoslavo era diventato definitivo e senza più speranza di cambiamento.
Da parte iugoslava non vennero promulgate leggi espulsive ma lo spaesamento, cioè il sentirsi straniero in patria, causato dall’elevatissima pressione ambientale, dalla paura delle foibe, dal sovvertimento delle gerarchie tradizionali (considerata la pregressa egemonia italiana), dalla perdita di punti di riferimento culturali importanti come gli insegnanti e i sacerdoti, dal peggioramento delle condizioni di vita, dalla necessità di servirsi di una nuova lingua, dalla constatazione dell’impossibilità di mantenere la propria identità nazionale nelle condizioni offerte dallo stato iugoslavo, indussero la maggior parte della popolazione italiana a scegliere l’Italia Repubblicana di De Gasperi.
Così si espresse con chiarezza nel 1967  Theodor Veiter: “La fuga degli Italiani secondo il moderno diritto dei profughi è da considerare una espulsione di massa. Colui che non fuggendo dalla propria terra, si troverebbe esposto a persecuzioni di natura personale o politica, etnica, religiosa o economica, o verrebbe costretto a vivere in un regime che lo rende senza patria nella propria patria d’origine, non compie volontariamente la scelta dell’emigrazione , ma è da considerarsi espulso dal proprio paese”.
Per comprendere ciò che è avvenuto bisogna contestualizzare storicamente la tragedia, non per giustificarla poiché nessun rancore storico o spirito di vendetta può giustificare ciò che avvenne e il modo in cui avvenne. Ugualmente non si può comprendere il bombardamento di Dresda del febbraio 1945 da parte degli Alleati (25.000 vittime civili) se non si conoscono i precedenti bombardamenti di Londra da parte della Luftwaffe; non si può comprendere Hiroshima e Nagasaki se non si conoscono gli antefatti (Pearl-Harbor e guerra nel Pacifico). Occorre sottolineare che la necessaria individuazione di contesti che spieghino gli accadimenti nulla toglie alla gravità e rilevanza di questi ultimi. Noi siamo qui oggi per onorare e ricordare le vittime, ma anche per identificare il male e condannarlo.

La I guerra mondiale
L’Italia vincitrice della I guerra mondiale (1918) concluse il processo di unificazione nazionale inglobando con l’annessione del gennaio 1921, dopo tre anni di occupazione militare, mezzo milione di slavi residenti in Venezia Giulia (i cosidetti “allogeni”- contrapposti agli autoctoni – erano composti secondo il censimento del 1910 da 327.000 sloveni e 152.000 croati). Queste terre assieme a Zara e al Sud-Tirolo (200.000 tedeschi) erano state promesse all’Italia col patto di Londra dell’aprile 1915 stipulato con gli alleati prima dell’entrata in guerra.

Il fascismo al confine orientale
Dopo la conquista del potere nel ’22 il fascismo si fece violenza di stato e ebbe l’obiettivo prioritario di distruggere l’identità nazionale delle popolazioni slovene e croate facenti ormai parte dello stato italiano dopo la vittoria del 1918.
La spirale di odio fu teorizzata da Mussolini nel 1920 in un discorso a Pola, quando ancora non era Duce: “Di fronte ad una razza come quella slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica dello zuccherino, ma quella del bastone”.
In primis si impedì l’uso pubblico delle lingue slovena e croata con l’abolizione della stampa slava, con la soppressione per mezzo della riforma Gentile nel ’23 dell’insegnamento in lingua slovena e croata, con la chiusura dei circoli culturali; la legge del 10 gennaio 1926 prevedeva che si dovevano “restituire” i cognomi in forma italiana e si affidò l’esecuzione pratica della norma emanata al Pnf (Partito nazionale fascista); alla fine del ’28 vennero dichiarati fuorilegge tutti i partiti politici e tutta la stampa periodica; iniziarono poi le persecuzioni nei confronti dei punti di riferimento per le comunità nazionali slovene e croate (preti, maestri, capi villaggio), si liquidò il tessuto cooperativo e creditizio slavo; la borghesia venne sostituita da uomini nuovi di provata fede italiana sia negli uffici pubblici che nelle professioni.
Lo stato dittatoriale si avvalse dei sistemi di polizia con innumerevoli provvedimenti di ammonizione e confino, carcerazioni, condanne a morte comminate dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato; venne creato “ad hoc” sul finire degli anni Venti l’Ispettorato speciale del Carso guidato dal fascista Emilio Grazioli per il controllo capillare dell’area periferica urbana; dopo la pacificazione tra regime e Chiesa con la firma del Concordato vennero allontanati nel 1931 l’arcivescovo di Gorizia Francesco Borgia Sedei e nel 1936 il vescovo di Trieste-Capodistria Luigi Fogar, rei di aver difeso il diritto degli sloveni e croati all’uso della loro lingua almeno nella sfera religiosa.
Il governo italiano il 14 agosto 1931 istituì l’Ente per la rinascita agraria delle Tre Venezie col compito di espropriare le terre in possesso degli “allogeni” e cederle ad agricoltori italiani ex combattenti della guerra 15-18 o a fascisti. Il regime, in sintesi, cercò di realizzare in Venezia Giulia un programma di distruzione integrale della identità nazionale slovena e croata.

La II guerra mondiale
Il 6 Aprile 1941 le forze dell’Asse aggredirono la Jugoslavia senza dichiarazione di guerra e la II Armata Italiana in pochi giorni giunse a Lubiana; la provincia di Lubiana, una parte della Dalmazia e il Montenegro furono annesse al Regno d’Italia; il 18 maggio Aimone di Savoia diventò re di Croazia con l’ustascia Ante Pavelic primo ministro.
La resistenza da parte della popolazione e del movimento partigiano indusse il nostro Stato Maggiore ad una violenta repressione: fucilazione di ostaggi, deportazione forzata dei familiari dei ribelli, distruzione di interi paesi. Il generale Mario Roatta comandante della II Armata Italiana in Slovenia e Dalmazia (Supersloda) aveva diramato nel marzo ’42 la Circolare 3C che dettava alle nostre truppe la condotta da seguire: “… il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla formula dente per dente ma bensì da quella testa per dente”.  Mussolini così si rivolse alle nostre truppe in Montenegro comandate dal generale Pirzio Biroli: “So che siete buoni padri di famiglia, questo va bene a casa ma non qui; qui non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori”.
Nel solo territorio sloveno tra il giugno ’41 e il gennaio ’45 furono internate 70.000 persone su una popolazione di 360.000, di queste 15.000 persero la vita. Una moltitudine di prigionieri dell’ex esercito iugoslavo e civili, compresi donne, vecchi e bambini, arrestati durante le operazioni antipartigiane fu deportata nei 200 campi di internamento e lavoro costituiti nel 1941 in territorio italiano, sloveno e croato, gestiti dal Ministero dell’Interno e dal Regio Esercito, tra cui i principali: Gonars (comune in provincia di Udine in cui da documenti ufficiali ecclesiastici risultano reclusi nell’agosto ‘43 n.4503 persone in maggioranza donne e bambini), Arbe (Rab in Croato) con 4000 deceduti di stenti, Visco, Monito, Chiesanuova, Renicci, Ellera, Colfiorito, Pietrafitta, Tavernelle, Cairo Montenotte. Nel castello di Scipione di Salsomaggiore, gestito dal Ministero degli Interni, furono internati sino all’8 settembre ’43 numerosi civili iugoslavi deportati dalle loro terre. Ulteriori informazioni possono essere desunte sia dal documentario della BBC “Fascist legacy” trasmesso l’1 e 8 novembre del 1989 in Gran Bretagna, acquistato dalla RAI nel 1991 ma mai mandato in onda, sia dal libro “L’olocausto rimosso” della storico americano Michael Palumbo, edito da Rizzoli.Occorre inoltre ricordare i crimini nazisti quando quelle zone passarono dopo l’8 settembre 1943 all’amministrazione diretta del Reich con la denominazione “Adriatisches Kuestenland” (territorio del litorale adriatico).
La memoria va allora alla Risiera di San Sabba, unico campo di sterminio in Italia, e ai 72 ostaggi impiccati  in via Ghega a Trieste come rappresaglia a un attentato partigiano avvenuto a  Opicina. Ricordiamo i crimini degli ustascia del governo fascista collaborazionista di Ante Pavelic in Croazia: basti pensare al lager di Jasenovac (vicino Zagabria) ove trovarono la morte 500.000 serbi, 200.000 zingari e 32.000 Ebrei.

Considerando tutto ciò, il Consiglio Comunale di Fidenza

- esprime cordoglio per le vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata e dell’aggressione italiana alla Jugoslavia;

- condanna ogni tipo di violenza perpetrata in nome del nazionalismo;

- impegna la giunta a inviare l’ODG agli Istituti Scolastici Superiori di Fidenza.

Luigi Toscani
ltoscani@pdfidenza.it

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mar 272010
 

Premesso che

- la Bormioli Rocco spa è la più importante realtà industriale e produttiva del territorio fidentino;
- da decenni centinaia di famiglie fidentine trovano nell’industria del vetro l’opportunità di lavoro in grado di dare tranquillità economica e benessere;
- il settore del vetro ha generato nel tessuto fidentino e nei comuni limitrofi un indotto composto da aziende di trasporto, di manutenzione, di fornitura;
- le numerose famiglie impegnate nel ciclo produttivo e amministrativo della Bormioli Rocco concorrono ad assicurare la vitalità della rete dei servizi alla persona, del commercio al dettaglio, dei servizi sportivi, ricreativi e culturali;  del sistema scolastico Statale e paritario

constatato che:

- il nuovo piano industriale proposto dalla proprietà della Bormioli Rocco oltre  a prevedere l’uscita dal ciclo produttivo di personale non è ancora in grado di assicurare un futuro certo per l’azienda;
- agli ipotizzati 76 lavoratori in esubero vanno considerati gli effetti diretti ed indiretti che tale riduzione avrà sul sistema economico e sociale fidentino;
- l’amministrazione comunale, unitamente all’amministrazione provinciale, ha prontamente riattivato  il tavolo di crisi per supportare azienda e lavoratori nella fase di definizione di un piano industriale che assicuri un reale rilancio della capacità produttiva dell’industria del vetro fidentina;
- non è più ipotizzabile l’utilizzo dello strumento urbanistico, se non sia funzionale allo sviluppo dell’ azienda, per assecondare esigenze industriali;
- è necessario impegnare regione e governo in una azione di sostegno alla crisi del settore del vetro;
- il confronto tra azienda e rappresentanze dei lavoratori deve giungere alla definizione di un accordo che sia una reale prospettiva di rilancio della azienda e pertanto che ne tocchi gli aspetti strutturali e non sia un mero rinvio del problema;

tutto ciò premesso e constatato il consiglio comunale si impegna,

per quanto di sua competenza,

- a non assecondare, dal punto di vista della programmazione,  nessuna operazione dell’assetto logistico e immobiliare che riguardi proprietà o attività della Bormioli Rocco che non sia funzionale all’attuazione di un piano industriale di medio lungo periodo realista e condiviso;
- a sostenere le variazioni di bilancio che si renderanno necessarie per implementare le risorse comunali destinate al fondo anticrisi già previsto dall’amministrazione comunale d’intesa con le organizzazioni dei lavoratori;

ed impegna la giunta a:

- proseguire nell’azione di monitoraggio della situazione attraverso la partecipazione al tavolo di crisi che consenta di mantenere una vigile attenzione sulle prospettive future;
- sollecitare l’intervento della regione e del governo affinché il superamento della crisi della Bormioli Rocco divenga obbiettivo regionale e nazionale quale è la portata dell’azienda;
- adottare tutte le azioni necessarie per ridurre gli effetti sociali che comporteranno le determinazioni che, anche in via transitoria, potrà assumere la Bormioli Rocco;
- monitorare gli effetti che la ristrutturazione aziendale in corso potrà avere sul sistema dell’indotto proponendo gli interventi che riterrà utili;
- verificare il livello di utilizzo del fondo anticrisi adottato dall’amministrazione comunale e prevedere una sua eventuale  implementazione;

con tali impegni il consiglio comunale intende:

- esprimere a tutte le lavoratrici ed i lavoratori della Bormioli Rocco, e delle altre realtà produttive fidentine colpite dalla crisi economica, la propria vicinanza e solidarietà.
- manifestare al sistema delle imprese la propria disponibilità ad adottare i provvedimenti necessari, per i quali ha competenza, atti ad un rilancio serio e duraturo delle imprese e della loro capacità produttiva.

Il Gruppo Consigliare del Partito Democratico
segreteria@pdfidenza.it

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mar 252010
 

Il sottoscritto Roberto Bacchini, consigliere del gruppo PD

Considerato

che il 25 Febbraio scorso ricorreva il 50° anniversario della partecipazione di Fidenza alla trasmissione televisiva Campanile Sera e per chi ha (purtroppo) una certa età e ha potuto vivere quell’avvenimento, rimane il ricordo indelebile di una città assolutamente unita, senza nessuna divisione, neppure politica, per dare un’immagine positiva di Fidenza a tutta l’Italia.
Che si trattasse di un’occasione importante per la storia di Fidenza, l’aveva sottolineato anche il Sindaco Cantini in campagna elettorale, indicandola tra le caratteristiche della sua borghigianità in contrasto con la parmigianità dell’altro candidato.
Però l’anniversario è passato sotto assoluto silenzio. Soltanto il quotidianoonline “Il Giornale di Fidenza.net” ne ha fatto un servizio con testo e fotografie per ricordarlo.

Chiedo

pertanto al Sindaco se il silenzio dell’Amministrazione è dovuto a:
- dimenticanza
- considerazione irrilevante dell’avvenimento
- presenza nell’avvenimento di 50 anni fa di ex consigliere comunale di altra parte politica.

In attesa di risposta, anche scritta, porgo distinti saluti.

Roberto Bacchini
rbacchini@pdfidenza.it

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mar 252010
 

I falsi e ingannevoli miti creati dal centrodestra fidentino nel giugno scorso si sono sgonfiati clamorosamente in meno di nove mesi. L’operazione elettorale fatta di slogan inneggianti alla fidentinità e al civismo, si è rivelata in men che non si dica una tigre di carta che ha avuto l’unica funzione di mascherare, per quanto possibile, una classe politica locale inadeguata a governare Fidenza.
Oggi quei proclami non sono altro che rimasugli di un passato remoto, mentre le conseguenze gravano ancora sulle spalle di tutti i fidentini, che si sono ritrovati vittime innocenti di un’Amministrazione allo sbando e senza un’identità.
La coalizione che governa Fidenza non poteva scegliere un modo peggiore per perdere credibilità: proprio loro che si proclamavano orgogliosamente liberi dai condizionamenti di Parma e dei partiti tradizionali, non hanno fatto altro che chinare la testa e obbedire al ras parmigiano.
Non hanno fatto altro che arrendersi in cambio di una convenienza politica che da qui a tre giorni dimostrerà tutta la sua vacuità, ma che nel frattempo consegna le chiavi della città in mano a persone che non potranno fare altro che il male di Fidenza. Non hanno fatto nient’altro, dell’amministrazione della città non se ne sono mai occupati seriamente.
Da oggi si è capito chi comanda davvero, è palese che la Giunta è solo formalmente guidata da Mario Cantini. Il vero sindaco di Fidenza è qualcun altro che vive al di fuori della nostra città e che non conosce i problemi che veramente l’affliggono.
Gli altri esponenti del PdL che non si sono ribellati, non contano più nulla, se mai hanno contato qualcosa. Anche gli alleati, come la Lega Nord, non hanno alcun peso nelle decisioni che contano tanto che hanno preferito rimanere in un silenzio imbarazzante.
In teoria potremmo come opposizione anche gioire di questa confusione più totale. Eppure, vedendo Fidenza e un sindaco sfruttati in questo modo non riusciamo a festeggiare.
Il nostro pensiero va alla “bella politica” all’autorevolezza, alla capacità di guidare una città che oggi non esiste. Eppure Fidenza avrebbe tanto bisogno di tutte queste cose. Potremmo oggi usare noi lo slogan “Fidenza ai fidentini” ma preferiamo restare in silenzio e riflettere su come in pochissimi mesi si sia potuto gettare al vento un patrimonio, una storia, una cultura che vedeva da sempre Fidenza combattere, competere, a volte vincere a volte perdere ma sempre a testa alta. Oggi questa vicenda umilia tutti i fidentini e la loro fidentinità.
La frana si è messa in moto: il castello di sabbia costruito in campagna elettorale si sta disfacendo penosamente sotto gli occhi di tutti. Per il bene della città non vorremmo assistere ad un’agonia politica.
Essa sarebbe il male assoluto, visto il momento economico e sociale molto complesso che la città sta vivendo.

Davide Malvisi
dmalvisi@pdfidenza.it

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mar 232010
 
bormioli1

Il Partito Democratico è al fianco dei lavoratori della Bormioli Rocco, e non in modo metaforico.
Ieri, lunedì 22 marzo, c’eravamo anche noi al picchetto organizzato dagli operai della maggiore industria di Fidenza per manifestare il proprio sostegno  nei confronti dei 75 colleghi che sono stati messi in cassa integrazione o in mobilità. Noi del Partito Democratico di Fidenza c’eravamo e non solo per esprimere una solidarietà di circostanza o di convenienza, ma per testimoniare concretamente il nostro impegno costante e deciso a dare un contributo per risolvere la drammatica situazione in cui si trovano decine di  dipendenti dell’azienda più importante della nostra città.
Purtroppo la crisi dell’industria del vetro è generale, ma la provincia di Parma, dove questo settore ha un peso notevole sull’economia locale, sarà tra le zone più colpite se non verranno attuate subito adeguate politiche di sostegno alle imprese e ai lavoratori. I dati di cui disponiamo non ci permettono di sottovalutare la gravità dell’attuale momento: considerando solo le quattro imprese maggiori (Cerve, Vetro Paini, Bormioli Luigi e Bormioli Rocco) su 2140 lavoratori complessivi sono stati finora ben 170 quelli messi in cassa integrazione e 215 quelli interessati dalla mobilità e dai licenziamenti. Tra questi ci sono purtroppo anche i 75 della vetraria fidentina.
Pertanto crediamo sia ormai improcrastinabile un intervento concertato da parte di tutti gli enti e le istituzioni coinvolti che risollevi finalmente le sorti di uno dei settori strategici del nostro territorio. Tutti dovranno fare la loro parte,  a partire dal Comune fino al Governo nazionale, che purtroppo finora ha dimostrato soltanto disinteresse. Senza dimenticare che anche la proprietà aziendale è chiamata, in un momento difficile per l’economia, a non subire la crisi ma a rilanciare con obiettivi chiari e capacità imprenditoriale, e a ridare un futuro certo a questa storica azienda. Non possiamo non richiamare la proprietà ad una responsabilità sociale che, in momenti di difficoltà generale, deve andare al di là della semplice valutazione economica. Da parte nostra, possiamo garantire che il Partito Democratico di Fidenza non lascerà nulla di intentato affinché questo problema, che tocca da vicino tanti nostri concittadini, possa essere portato in tempi brevi ad una soluzione definitiva e non penalizzante per i già martoriati lavoratori di questo territorio.

Partito Democratico di Fidenza
segreteria@pdfidenza.it

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mar 162010
 
expo

Se quattro anni possono sembrare lunghi, gli impressionanti numeri calcolati sull’indotto dell’Expo che si terrà a Milano nel 2015 dovrebbe convincere tutti dell’importanza di arrivare preparati a questo evento: anche Fidenza può fare la sua parte e raccogliere grandi benefici. Non è un caso che altri Comuni del nostro territorio, da Salsomaggiore a Zibello, oltre ovviamente a Parma, si stiano già muovendo per ritagliarsi uno spazio ed un ruolo all’interno di una manifestazione di livello mondiale. Riteniamo che Fidenza dovrebbe fare altrettanto.
Rispetto agli altri Comuni delle provincia di Parma, escluso il capoluogo, Fidenza è certamente quello che può offrire di più, soprattutto dal punto di vista della logistica e delle infrastrutture. La distanza non eccessiva da Milano, ma soprattutto l’importanza decisiva del nostro scalo ferroviario, se si riuscirà ad ottenere che qualche treno veloce fermi nella nostra stazione, potrebbero essere un punto di forza per la nostra città. Crediamo che con queste credenziali di tutto rispetto, il sindaco Mario Cantini abbia il diritto e il dovere di proporsi immediatamente agli interlocutori più autorevoli: l’Amministrazione comunale di Milano e gli organizzatori dell’Expo.
Non abbiamo ancora avuto notizie in merito ad un eventuale interessamento della città di Fidenza a collaborare con Milano. Gradiremmo che Cantini ci tenesse informati, e con noi tutti i fidentini, delle sue azioni in questo senso. Ci sono contatti avviati? Quali progetti potrebbero essere sviluppati su Fidenza in occasione dell’Expo?
Nel caso invece il sindaco si fosse distratto gli ricordiamo che a 100 km da Fidenza si sta preparando un evento per il quale sono previste le seguenti ricadute: oltre 20 miliardi di euro di investimenti solo nelle infrastrutture; solo nel 2010 verranno creati 70.000 posti di lavoro; nei 6 mesi dell’Expo arriveranno 29 milioni di turisti, per una media giornaliera di 160.000 visitatori; i paesi espositori saranno circa 175; verranno organizzati circa 7.ooo eventi che richiederanno investimenti per 892 milioni di euro. Mica male: Fidenza non vuole restare a guardare e per questo chiediamo un impegno straordinario prima di tutto di informazione alla città e successivamente nel lavorare affinchè anche Fidenza possa avere il suo piccolo ruolo in un evento veramente mondiale.

Davide Malvisi
dmalvisi@pdfidenza.it

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mar 122010
 

Il sottoscritto Roberto Bacchini consigliere del PD

Considerato

che negli ultimi mesi del 2007, Fidenza Sport srl, in accordo con la precedente Amministrazione, aveva provveduto a realizzare, all’interno del Centro sportivo Ballotta, un campo da calcio e due campi da calcetto in materiale sintetico.
Questo per consentire alle squadre giovanili, amatoriali e dilettantistiche della città di svolgere regolarmente l’attività anche nei periodi invernali e con condizioni metereologiche avverse.
A poco più di due anni dalla realizzazione della struttura,si può affermare che,soprattutto per quanto riguarda il campo da calcio, i risultati sono estremamente positivi ed hanno superato le più rosee previsioni.
Infatti , il campo, oltre ad aver ospitato molte partite delle squadre della città,si sta caratterizzando come polo per tutto il territorio provinciale. Solo a titolo esemplificativo, il “Ballotta” ha fatto da stadio di casa a Pallavicino (Busseto), Salsomaggiore, San Secondo, Soragna, Colorno, Fontanellato, Berceto ed altre, riscuotendo giudizi positivi anche dal pubblico di queste squadre.
L’unica critica che ci rivolgevano, era la mancanza di una tribuna, che consentisse una visione della partita degna della qualità del  campo sul quale si svolgeva. La tribuna, in effetti, era prevista nel progetto iniziale, tant’è che è già stato costruito il basamento sul quale appoggiarla. Al proposito si

Interpella

la Giunta e l’Assessore competente per conoscere se vi è la volontà di realizzare tale opera e in quali tempi.

In attesa di risposta, anche scritta, porgo distinti saluti.

Roberto Bacchini
rbacchini@pdfidenza.it

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mar 112010
 
davide1

Il consigliere comunale del Partito Democratico Davide Malvisi risponde al sindaco Mario Cantini sul tema della viabilità. 

Il sindaco Cantini mi ha definito un extraterrestre? Lo ringrazio per la fiducia, ma sono solo una persona che ha buona memoria e si ricorda perfettamente quello che lui prometteva in campagna elettorale ai fidentini. Se il mio essere extraterrestre non mi permette di ricordare cosa succedeva due o dieci anni fa – quando invece l’attuale sindaco di Fidenza c’era eccome e già tentava di fare politica –, è anche vero che mi consente di ricordare in modo limpido tutte le parole vuote che sono state spese per parlare di viabilità dal centrodestra e di quanto, una volta eletto sindaco, Cantini non abbia neppure provato a mantenere una sola di quelle promesse.
In questi nove mesi tutto è rimasto fermo, compresi gli automobilisti in coda ad ogni svincolo. Le code sempre più lunghe, le rotonde sempre più provvisorie, il traffico regolarmente in tilt: mi dispiace di essere stato preso per uno che vive chissà dove quando non ho fatto altro che constatare la realtà. Siamo sicuri che sia io l’extraterreste?
A quanto mi risulta ci sarebbero dei progetti che Cantini ha ereditato: mi chiedo se li sta portando avanti? Oppure magari non gli piacevano, ma allora ne sta facendo di nuovi lui insieme alla sua équipe di esperti? Mi hanno detto che c’era un piano urbano del traffico PUT che era stato tanto contestato dai colleghi di Giunta del sindaco: che fine ha fatto?
Facciamo che sono un extraterrestre che vorrebbe anche mezza risposta a queste domande? Spero che esista, perché a Fidenza il traffico peggiora di giorno in giorno grazie agli ultimi astuti interventi. L’extraterrestre vorrebbe anche sapere come mai quando nevica non chiudiamo le scuole ma le chiudiamo il giorno dopo quando tutto è tornato alla normalità.

Davide Malvisi
dmalvisi@pdfidenza.it

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mar 052010
 

“Stai facendo la coda? Tra poco si vota. Ricordatelo…”. Purtroppo per gli autori di questo slogan con cui il centrodestra aveva tappezzato la città l’estate scorsa, la memoria dei cittadini di Fidenza è molto buona. Oltre ad essersi ricordati delle code nella cabina elettorale, essi hanno continuato ad avere ben presente il problema per tutti questi mesi. In tutto questo tempo, infatti, non hanno mai dimenticato le tante promesse che non sono state ancora mantenute dalla nuova Giunta. E sulla viabilità sono state proprio le code a rammentarci quotidianamente che le cose sarebbero dovute cambiare dopo le elezioni: si sperava in meglio, non in peggio.
I mesi sono passati, nove per la precisione, dalla fine della campagna elettorale. Quello slogan è ora un boomerang per chi l’aveva furbescamente ideato perché quando è arrivato il momento di provare a risolvere davvero i problemi nulla si è mosso e sono solo rimasti sul tavoli quei ridicoli slogan.
Oggi la viabilità di Fidenza è la più sciagurata e palpabile prova del vuoto amministrativo in cui si trova da mesi la città. Le code sono rimaste al loro posto, anzi si sono pure allungate rispetto ad un anno fa. Le rotonde, raffigurate sotto le elezioni come opere infernali, sono rimaste tutte dov’erano. Ci aspettavamo, almeno, che quelle “cattive” venissero rimosse o modificate in poche settimane invece sono ancora lì; per quelle “buone”, cioè che non erano poi così diaboliche, speravamo di vedere al più presto la presentazione di un progetto definitivo e finalmente il passaggio da temporanee a permanenti. Niente di tutto ciò.
Lo stato dell’arte della viabilità a Fidenza è questo: dove non è cambiato nulla, le cose sono peggiorate. E oltre al danno che tutto ciò arreca ai cittadini, come se non bastasse, abbiamo subito in queste settimane la beffa della gestione totalmente inadeguata del cantiere per la realizzazione della rotonda di Cabriolo. Siamo l’unico paese d’Italia che per fare una rotonda, per di più in mezzo ad un prato, deve interrompere chiudere per mesi importanti strade di scorrimento. Il prolungato blocco della strada per Santa Margherita non è spiegabile se non con l’incompetenza di chi si occupa del traffico e delle strade di Fidenza.

Davide Malvisi
dmalvisi@pdfidenza.it

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