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di Alessandra Narseti

La legge n.211 del 20 luglio 2000 afferma: “la repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Aushwitz, “giorno della memoria”, al fine di ricordare la shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.

Ecco, in realtà altri ebrei vennero uccisi nelle settimane seguenti, ma la data del 27 gennaio è stata giudicata più adatta di altre a simboleggiare la shoah e la sua fine. Oggi quindi, esattamente oggi, ricorre Il settantesimo anniversario dell’abbattimento dei cancelli del campo di concentramento di Aushwitz da parte delle truppe dell’armata rossa, cancelli dietro i quali i soldati trovarono un orrore inimmaginabile.

Particolarmente toccante la testimonianza di un soldato russo Yakov Vincenko, che al tempo dei fatti aveva solo 19 anni, e che tanti anni dopo racconta: “quel giorno ad Aushwitz è diventato centrale nella mia vita solo quando anche il mondo ha elaborato una coscienza della verità e della vergogna. Nemmeno noi, che abbiamo visto, ci volevamo credere. Ho sperato per anni di riuscire a dimenticare: poi ho capito che sarebbe stato comportarsi da colpevole, diventare complice. Così, ricordo. Non sono riuscito a comprendere come sia potuto succedere, ma a chi nega l’olocausto dico: credete a me che quando ero lì ho cercato di convincermi che non fosse vero” e continua “ho aperto le porte delle baracche, all’interno uomini moribondi pregavano, temevano li ammazzassi. Quando ho detto loro che erano liberi, non percepivo felicità. Li vedevo sollevati ma non avevano la forza per reggere la gioia”.

Bene, i cancelli di Aushwitz sono stati abbattuti, ma tanti altri cancelli rimangono ancora da abbattere: non si tratta più di cancelli fisici, ma di cancelli ideali fatti di pregiudizi e cementati dall’intolleranza, barriere tra le culture, tra le religioni, tra le diversità.

L’antisemitismo stesso, non è del tutto dietro le nostre spalle: forse non tutti sanno che il nostro paese detiene il triste primato delle ingiurie, insulti e messaggi di intolleranza antisemiti su internet ed è questo un dato confermato da un rapporto dell’agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali. E allargando lo sguardo all’Europa, emergono fatti ancora più drammatici: dalla strage alla scuola ebraica di Tolosa del 2012 in cui persero la vita un professore di religione e tre bambini, agli ultimi tragici fatti di cronaca che non occorre neanche ricordare tanto sono impressi nella memoria di tutti. Questo clima ha fatto sì che a Parigi si consigli agli ebrei di camminare in gruppo e mai soli e di portare sopra la kippah un cappello sportivo. Inoltre, metà delle famiglie ebraiche di Villepinte, sobborgo proletario a nord della capitale hanno lasciato il quartiere e la sinagoga locale, già incendiata nel 2011 ed e’aumentato esponenzialmente il numero di ebrei che hanno lasciato la Francia per far ritorno nello stato di Israele ( si parla di 7000 nel 2014 contro i 3500 del 2013). Tutto questo contrasta terribilmente con le libertà simbolo dell’Unione europea e testimonia più di ogni altra cosa come il ricordo del dramma della shoah non sia soltanto un formalismo, ma sia oltremodo necessario in una società che a volte sembra vacillare sul rispetto del prossimo. Insomma, i cancelli di Aushwitz sono stati abbattuti, ma tanti altri cancelli restano ancora da abbattere.

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