dic 012015
 
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“E’ ora di riprendermi la vita”.

Una frase semplice e terribilmente efficace che ho visto in un cartello esposto da una manifestante, pubblicato su vari giornali.

Una frase chiara. Una richiesta di aiuto che vale doppio per trasformare questa Giornata contro la violenza sulle donne in una forma concreta di impegno collettivo.

E’ importantissimo che Fidenza sia tra i 1.000 Comuni d’Italia che hanno organizzato una iniziativa, sostenendo l’informazione dei cittadini, il coinvolgimento delle giovani generazioni e il confronto in tutta la Comunità, che è il primo dei nutrimenti democratici.

Per questo ringrazio tutti i consiglieri che sono qua e che ci sono rinunciando agli impegni lavorativi, per testimoniare il loro contributo.

Ringrazio il Presidente Tosi e l’assessore alle Pari Opportunità, Alessia Frangipane, che hanno promosso questa occasione, che ci offre l’opportunità di ascoltare lo straordinario lavoro degli studenti del nostro Solari, oltre ai contributi di Massimiliano Filoni, Samuela Frigeri e della dottoressa Laila Papotti, in servizio presso la Procura della Repubblica.

Ringrazio, a maggior ragione, il Prefetto di Parma, Giuseppe Forlani, ancora una volta a Fidenza insieme al Comune, per testimoniare che quando le Istituzioni sono unite e lavorano fianco a fianco possono nascere solo cose buone per i cittadini e le cittadine.

Per inciso, e non mi stancherò mai di dirlo, mi sento di tributare al dott. Forlani un pubblico elogio per il metodo che ha adottato per l’assolvimento della sua funzione. Un metodo che coinvolge le comunità locali e che lo porta spesso ad incontrarle sul posto.

Un fatto che come Sindaco registro come un notevole cambio di passo nelle relazioni tra Capoluogo e provincia.
Bene. Richiamavo, prima, alla necessità di una azione concreta.

Per essere efficaci quando si aggredisce un problema, bisogna conoscerlo, senza mettere la testa nella sabbia.
In Italia 7 milioni di donne hanno subito violenza fisica o psicologica nella loro vita. Solo nell’ultimo anno ci sono state 152 vittime di femminicidio e tra chi ha subito violenze, solo il 12% denuncia.
Questo è il dato più tragico, perché esprime paura, isolamento. Perché nega il diritto a quel “voglio riprendermi la vita” esposto nel cartello della manifestante.

Sembra quasi scontato dire che la principale arma di questa battaglia è la prevenzione culturale. Anzi, la formazione culturale, che deve essere il fulcro di una consapevolezza civica che si è persa.
Sembra scontato, ma sentendo del lavoro straordinario condotto dai ragazzi e dalla ragazze del Solari, in seno al progetto della cooperativa Giolli, so che questa è la strada giusta.

Una strada contro la violenza e contro l’ignoranza che, spesso, è la madre delle brutalità di cui un uomo può essere capace e complice.
Brutalità contro le donne e i più deboli. Brutalità contro l’ambiente. Contro un modo civile di vivere la collettività.
Noi che vogliamo essere sempre più e sempre meglio costruttori di quella casa comune che sta al centro di uno dei documenti più entusiasmanti degli ultimi anni – l’Enciclica Laudato Sì – siamo chiamati ad una svolta, in termini di chiarezza e di concretezza.

Come?
Servono fondi. Non giriamoci intorno. Ogni strategia ha bisogno di essere alimentata non solo con la buona volontà e i sacrifici personali, ma anche con una visione chiara di dove vogliamo andare e di come ci vogliamo arrivare.

Il Comune di Fidenza ha inserito per la prima volta nel suo bilancio delle risorse destinate alle Pari Opportunità con cui si sono realizzate esperienze vere. Il percorso dei ragazzi e delle ragazze del Solari, contributi alle associazioni impegnate in questa sfida di civiltà.

Lo stesso impegno dobbiamo chiederlo – per prime noi Istituzioni – allo Stato, se è vero che la rete dei centri di assistenza alle donne che hanno subito una forma di violenza è senza fondi.

Ripartiamo da qui, condividendo e facendo nostre le parole del Capo dello Stato, sacrosante e ficcanti perché ancorate alla nostra Costituzione: “Contrastare la violenza sulle donne è un compito essenziale di ogni società che si proponga la piena tutela dei diritti fondamentali della persona. L’educazione al rispetto reciproco, nei rapporti personali e nelle relazioni sociali, è alla base del nostro vivere civile”.

testo del discorso del Sindaco andrea Massari per il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne

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dic 122014
 
questo non è amore

di Alessandra Narseti

Ho scelto oggi di portare una testimonianza di vita reale. Infatti, alcune giornaliste del corriere della sera, le autrici del blog al femminile la 27ettesima ora, sono andate a trovare e hanno ascoltato 20 donne vittime di maltrattamenti e da questa inchiesta hanno tratto un libro dal titolo “Questo non è amore”. Sono venti racconti, che partono da una domanda: perchè una donna, quasi sempre adulta e apparentemente libera, al primo spintone, al primo schiaffo o alle prime parole crudeli, non allontana da sè per sempre l’uomo che la sta minacciando?

In questo libro tutte le protagoniste dei racconti hanno nomi di fantasia, tranne una, la protagonista del racconto che vi voglio leggere, che ha fatto questa scelta coraggiosa in virtù del ruolo da lei ricoperto, si tratta di Ileana Zacchetti, al tempo dei fatti Assessore alle politiche sociali e alle pari opportunità del comune di opera, nel milanese, che è stata picchiata a sangue dal suo nuovo compagno.

Firenze, un pomeriggio d’autunno. Lui e lei camminano tra la folla dei turisti. Poi lui si blocca, scompare tra la folla in un attimo. «Che cosa sarà mai successo?». Poi eccolo di nuovo. «Tieni, è per te». Lei lo guarda incantata. «Non vorrai conservarlo chiuso questo regalo, spero!». La carta velina si apre. «È bellissimo! Non dovevi!” «Per te è il minimo. Tu ti meriti molto di più», si schermisce Lui guardandola negli occhi, mentre le infila all’anulare un anello tempestato di diamanti.
Lei si chiama Ileana Zacchetti, ha 52 anni ed è assessore alle Politiche sociali e alle Pari opportunità del Comune di Opera, nel milanese. Lui ha una professione di prestigio e un nome che qui non importa ricordare. Oggi quel pomeriggio di settembre di due anni fa pare lontano anni luce. A ottobre Ileana incontrerà di nuovo il suo Lui. In un’aula di tribunale. Le consigliere di parità della regione Lombardia si sono rese disponibili alla costituzione di parte civile. Prima udienza per un processo in cui si parlerà di maltrattamenti, violenze, lesioni aggravate. E di un dolore profondo.
Eppure quel giorno, a Firenze, Ileana in quell’anello aveva letto una promessa di felicità. 
“La mia è stata una vita complicata — racconta — Ora ho due figlie grandi. Da quando io e mio marito ci siamo lasciati, 13 anni fa, avevo pensato sempre e solo a loro. Ma di fronte a quell’anello, a quel corteggiamento, a quelle dozzine di rose che arrivavano in ufficio accolte dallo stupore delle mie collaboratrici, mi sono lasciata andare alla speranza di una felicità sognata da sempre.”
Ad Opera l’assessora è molto conosciuta e stimata. «Mi sono chiesta se non fosse il caso di fare finta di nulla e non denunciare. Ma me ne sarei vergognata — racconta oggi —. Chi può andare fino in fondo se non le persone che come me hanno un ruolo pubblico e credono in ciò che fanno? Lo devo alle donne e agli uomini che incontro ogni giorno».

E allora avanti con un racconto sempre più sofferto: «Già diverse volte lui aveva avuto nei miei confronti comportamenti violenti: spintoni, urla, offese. Anche solo un sorriso a chi si avvicinava per chiedermi un aiuto, un intervento a favore di una famiglia in difficoltà, poteva bastare perché si scatenasse l’inferno. Avrei dovuto ribellarmi subito; invece ho inghiottito lacrime e umiliazione. Poi, però, arrivavano di nuovo fiori, scuse, abbracci. E io tornavo a sperare». Questo fino a un tremendo pomeriggio di primavera dell’anno anno scorso. “Eravamo a casa sua, avevamo litigato per l’ennesima volta — continua Ileana -. Questa volta gli dissi: «Adesso basta, tra noi è finita». Pugni, schiaffi. Sono caduta a terra. Mi ha rimesso in piedi tirandomi su per i capelli. Ancora schiaffoni. Poi mi ha presa per il collo. Ha aperto la porta e mi ha gettata fuori, verso la balaustra del pianerottolo. Sono scesa come ho potuto. In quel momento tutto era confuso: i ricordi si mischiavano al dolore e all’umiliazione.”

Ora Ileana sta facendo il massimo per dotare il suo territorio di servizi adeguati per le donne decise a reagire ai maltrattamenti dei loro uomini. «Ho sperimentato sulla mia pelle-racconta- come i pronto soccorso, spesso non siano attrezzati per affrontare situazioni così delicate sul piano psicologico. L’informazione dei servizi e delle associazioni esistenti non sono sufficientemente supportate e conosciute dalle persone in difficoltà e bisognerebbe rafforzarne la rete sul territorio. Il lavoro da fare è tanto. E io- conclude Ileana-ho giurato alle mie figlie che andrò fino in fondo».

Ho scelto di riportare questa storia per diversi motivi; da questa storia, come anche dai dati, emerge come quello della violenza sulle donne sia un fenomeno che,pur essendo spesso ricondotto alle classi sociali più disagiate, percorre in maniera trasversale tutto il tessuto sociale.

Mi hanno, inoltre, colpito molto la determinazione e il senso di responsabilità di questa donna che ha usato il suo ruolo pubblico per essere da esempio alle donne che si trovavano e che si troveranno nella sua stessa situazione e che ha saputo trarre da questa sua esperienza negativa, una grande motivazione per contrastare in maniera concreta, lavorando sul suo territorio, il fenomeno della violenza contro le donne.