apr 272015
 
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Il discorso di Andrea Massari per il 70esimo anniversario della Liberazione d’Italia dal nazi fascismo.

Desidero abbracciare di cuore tutte le Associazioni Partigiane, Combattentistiche e i partigiani che oggi sono con noi in questa piazza che è, prima di tutto, la loro piazza. Perché loro 70 anni fa ce l’hanno regalata. Di nuovo in festa, di nuovo splendente, dopo più di 20 anni di paura, di lutti, di violenzeUn caloroso ringraziamento anche a Carlo Cantini, che è qui con noi per rappresentare Libera, l’associazione di Don Ciotti contro tutte le mafie, una delle realtà civili più impegnate sul grande fronte della Legalità.

Dicevo: 70 anni. Oggi sono esattamente trascorsi 70 anni da quando la violenza e la vergogna della dittatura sono state cacciate da Fidenza e dall’Italia. Un fatto enorme per la storia del nostro Paese, perché una generazione di ragazzi e ragazze, di persone comuni come oggi siamo noi fece la scelta più moderna e più difficile di sempre: spendersi, impegnarsi in prima persona fino al punto di mettersi davanti ai fucili di un nemico forte e sanguinario.

E lo fecero rischiando tutto, per riconquistare tutto quello che il fascismo ci aveva tolto: Libertà. Uguaglianza. Unità. Dignità. Qualcuno dice che la resistenza sia stata una scelta di coraggio. Io preferisco dire che è stata una scelta proprio di dignità. Bastava dire sì, bastava accettare il terrore e chinare il capo. Bastava ubbidire per salvare la pelle e le case, che tanto, prima o poi, i carri armati inglesi e americani sarebbero arrivati.

E invece no. A Fidenza come altrove la nostra gente si è ripresa l’Italia, dimostrando al mondo che la speranza può fare meglio delle pallottole e l’unità ci rende più forti di una cannonata. Ma questo non basta. Tutti insieme dobbiamo chiederci se l’Italia del 25 aprile 2015 è l’Italia che ci piace, se è il Paese libero e onesto che avevano immaginato i partigiani. Proviamo a chiederlo ai nostri ragazzi, a parlarne con le nostre famiglie. Proviamo a metterci in discussione perché quello di oggi non sia solo un bel corteo.

Se amiamo questa giornata, dobbiamo farlo senza paure perché la Resistenza non vivrà per sempre solo perché così scriviamo sui manifesti, ma vivrà se troveremo il modo di spiegarla a chi non c’era e di spiegare che non c’è nulla di più moderno, di più giovane e di più bello di un popolo che ama la sua libertà e che la sa difendere.

E’ vero: oggi siamo liberi. Possiamo dire quel che ci pare, studiare, informarci. Spostarci. Ma ci manca qualcosa. Qualcosa di enorme. Troppa parte della nostra Italia è inquinata dalle mafie, troppa gente ha paura di alzare la testa, troppa gente usa la scorciatoia della corruzione e degli affari sporchi per arrivare dove vuole. Troppi ragazzi non hanno un lavoro e se ce l’hanno è pagato poco e male. Vi prego di riflettere, guardiamoci intorno: abbiamo facebook, abbiamo internet, raggiungiamo in due ore le grandi città del mondo, ma nel 2015 dobbiamo ancora sconfiggere la mafia, ma è ritornato il mercato degli schiavi e bambini e famiglie annegano come mosche nel canale di Sicilia, ma siamo il paese dove 800 tra sindaci, assessori e consiglieri che non chinano la testa sono stati minacciati dai clan in un solo anno.

Ma siamo il Paese in cui un ragazzo su due non ha lavoro e si studia una vita per non avere certezze. Allora, oggi come 70 anni fa possiamo dire basta e cambiare. Ieri abbiamo combattuto fascisti e nazisti, abbiamo tolto bambini e famiglie dai campi di concentramento. Abbiamo scritto una Costituzione bellissima che protegge il diritto al lavoro. Oggi dobbiamo battere nemici che non sono in divisa ma che sappiamo come chiamare – mafiosi, corrotti, sfruttatori .

Siamo chiamati tutti ad un grandissimo impegno per un nuovo patto. Ognuno di noi può e deve fare qualche cosa. Nel nostro piccolo, nel nostro quotidiano. Non è più il momento di stare alla finestra. Non è più il momento di criticare e non fare nulla. Passiamo dalle parole ai fatti concreti che ognuno di noi può fare. I Sindaci come i cittadini. Gli studenti come i magistrati che sono in prima linea. Chi lavora con onestà come le migliaia di Forze dell’Ordine che servono lo Stato tra mille difficoltà.

Tutti insieme dobbiamo dire basta ai vizi italiani del non vedo, non sento, non parlo, specie se di mezzo ci sono i nostri interessi. Tutti insieme dobbiamo dire basta a quella zona grigia che un attimo dopo un arresto eccellente fa finta di niente, finge di non conoscere chi ha patrocinato e fiancheggiato fino ad un attimo prima. Tutti insieme possiamo dire basta ai salari da fame per tanti e agli stipendi stellari per pochi. Possiamo dire basta, cari ragazzi, ai soprusi grandi piccoli.
Anche nelle vostre classi, nelle vostre scuole. Ognuno è chiamato a fare resistenza nei luoghi in cui viviamo.

Se questa è la nostra Resistenza, però, dobbiamo farla insieme. Insieme, ad esempio, ai Comuni come Fidenza e a tutti gli altri che sono entrati nel grande network dei Comuni antimafia di Avviso Pubblico. Insieme a chi vuole di più per i nostri ragazzi.

Insieme è poi una parola bellissima e che ci dice tanto: non possiamo pretendere che la nostra sicurezza, il nostro diritto a vivere onestamente siano affidati ad un piccolo gruppo di eroi. Le avanguardie, i pionieri sono importanti, ma non possiamo lasciarli soli. Ce lo dice proprio la nostra storia. Fidenza non ha lasciato soli i nostri partigiani, la gente di Fidenza non lascerà soli Don Ciotti e tutti i servitori dello Stato, tutti i cittadini che ad ogni livello non abbassano la testa, che non si arrendono. Così, con l’impegno di ognuno di noi possiamo cambiare il nostro paese e renderlo migliore.

Oggi che la Liberazione compie 70 anni, vi chiedo un piccolo gesto: lasciamo partire da questa piazza un applauso, un applauso sincero, che suoni come un GRAZIE a tutti i resistenti. A quelli di ieri che ci hanno insegnato tutto, a quelli di oggi.

Avanti tutta. L’Italia ci sta aspettando. W il 25 aprile, w la Repubblica!
Grazie!

 

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apr 132015
 
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Quando parliamo di partecipazione non parliamo di un’attività che è “accessoria” alle attività delle istituzioni, o in generale alla vita di una città. La partecipazione è una dimensione costitutiva delle istituzioni di una città. Il Consiglio comunale, le commissioni consiliari le giunte, sono tutti organismi utili alla partecipazione.

Il tema che dobbiamo affrontare oggi è il cambiamento che abbiamo vissuto in questi ultimi decenni nelle forme di rappresentanza. Noi oggi abbiamo delle istituzioni, dei partiti e più in generale dei “corpi intermedi” che si sono creati anche molto tempo fa per rispondere a bisogni che erano consolidati e legittimi, ma che oggi risultano poco aggiornati sulla complessità della vita contemporanea. Bisogni che continuano ad esistere e che non vanno negati, ma piuttosto fatti evolvere.

Il fatto è che in una società più complessa e più articolata come appare oggi quella in cui viviamo ci sono bisogni ed esigenze che non trovano rappresentanza nei corpi intermedi classici, tante cose che vorremmo per l’ambiente, per l’economia, per il nostro vivere insieme. Il tema è quindi legato alla dimensione istituzionale, ma non solo.

E’ politico nel senso più alto del termine perchè riguarda anche la capacità di pensarsi, rielaborare temi e poi di auto-organizzarsi dei cittadini, in forme che poi possano essere riconosciute e aiutate.

Tutto ciò richiede un cambiamento non solo negli atteggiamenti dei cittadini, ma anche delle forme della politica, di come si fa la politica, ma anche dei ruoli tecnici interni ed esterni all’amministrazione. Il materiale tecnico che la politica usa per organizzare la vota dei cittadini deve essere reso disponibile nelle forme più aggiornate perchè i cittadini li possano intelligere e quindi usare.

Altri pezzi dell’intervista ai link presenti sulla piattaforma per lo streaming raggiungibile cliccando qui

apr 102015
 
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Il 25 aprile 1945 è stato determinante per il destino della nostra patria.

Costituisce, infatti, una tappa storica che ha segnato il passaggio da tempi caratterizzati dal totalitarismo e da conflitti armati a tempi contrassegnati dal confronto e dalla tolleranza. L’Antifascismo, la Resistenza e la Costituzione, sono gli elementi fondanti di questa evoluzione sociale e politica che deve essere sempre sollecitata e sostenuta. È necessario, infatti, che gli ideali della Resistenza non siano considerati come acquisiti e raggiunti, ma come valori virtuosi da perseguire con l’apporto di tutte le componenti della vita politica, economica e sociale.

“IL 25 APRILE È FESTA”

PROGRAMMA (QUI IN PDF)

VENERDÌ 24 APRILE 2015
Ore 17.00 Piazza Garibaldi – Partenza di delegazioni per la deposizione di corone di alloro ai cippi
in ricordo ai Caduti della Resistenza e al Monumento ai Caduti a Cefalonia e Corfù

SABATO 25 APRILE 2015
Ore 10.00 Chiesa di San Pietro Apostolo – Celebrazione della S. Messa

Ore 10.45 Piazza Gioberti – Formazione corteo con accompagnamento della Banda “Città di Fidenza”.
Deposizione di corone di alloro al Monumento ai Caduti, al Monumento al Partigiano e al
Monumento ai Carristi

Ore 11.45 Piazza Garibaldi – Saluto del Sindaco Andrea Massari. Interventi del Segretario della Sezione
A.N.P.I. di Fidenza Cristiano Squarza e del referente provinciale dell’associazione “Libera”
Carlo Cantini.

IL SINDACO , Andrea Massari

apr 092015
 
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Paolo Calvano sta per essere eletto nuovo segretario regionale del PD Emilia Romagna.

Alleghiamo il documento con il quale si presenta agli elettori del partito e una brevissima biografia che lo descrive.

Vale la pena leggerne l’incipit per capire quale sia l’approccio:
“Stupiteci, incantateci, mostrateci che l’aridità in cui può essere sprofondata la politica può trovare una soluzione positiva. Fate tornare la passione a chi pare averla smarrita, la voglia d’intraprendere battaglie solo perchè ritenute giuste, degne di essere sostenute e non perchè sono l’indispensabile necessità per garantirsi una rendita” (Mauro Cavallini)

 

apr 022015
 
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Al netto dei tecnicismi che allietano le serate a noi Consiglieri vi riportiamo il testo votato per razionalizzare le partecipate  dirette ed indirette secondo quanto chiesto dalla Legge 23 dicembre 2014, n. 190, che impone di razionalizzare le società partecipate con un crono- programma terminato il 31 marzo 2015.

I criteri da seguire erano:
1. eliminazione delle società non indispensabili;
2. soppressione  delle  società  che  risultino  composte  da  soli  amministratori;
3. eliminazione dei doppioni;
4. aggregazione di società di servizi pubblici locali per favorire le economie di scala;
5. riduzione dei costi di funzionamento di quelle che vengono mantenute;

Prima della delibera il comune aveva partecipazioni in:
1. San Donnino Multiservizi s.r.l. a socio unico Comune di Fidenza
2. Emiliambiente s.p.a.
3. ASCAA s.p.a.
4. Forma Futuro soc. cons. a r.l.
5. CE.P.I.M. s.pa.
6. SO.PR.I.P. s.pa.
7. ParmAbitare – società consortile a r.l.
8. Lepida s.p.a.
9. Parma Turismi s.r.l.
10. Banca Popolare Etica s.c.a.r.l.
indirettamente in :  11. Fidenza Sport. s.r.l. - 12. s.s.d. San Donnino Sport a r.l. - 13. Comeser srl

Dopo l’approvazione in Consiglio il Comune ha deciso di mantenere:

1. San Donnino multiservizi, di cui siamo soci unici, che organizza e promuove  la gestione diretta e/o indiretta dei servizi di interesse generale delegabili. Sono i servizi ambientali e di igiene urbana, il settore energetico e i servizi a rete (gas, cogenerazione, pubbliche affissioni, “portierato” del palazzo municipale e del palazzo “sen. A.Porcellini”, il piano di gestione della sosta, la gestione dei servizi comunali di biblioteca e mediateca). Molte di queste attività verranno comunque razionalizzate.
2. Emiliambiente, che gestisce la rete idrica in tutte le sue forme, bianca e nera (pulita e di residuo).
3. Formafuturoaccreditata presso la Regione Emilia-Romagna per la gestione dei corsi di formazione finanziati.
4. Lepida, la società regionale che gestisce ed implementa le reti a fibra ottica.
5. 
 Banca Etica, società cooperativa per azioni costituita nel 1995 che raccoglie gestisce ed impiega il denaro dei risparmiatori secondo i criteri della finanza etica.

Ci liberiamo invece, nei tempi che il mercato permette perchè per vendere ci vuole qualcuno che comperi, di:

1. Ascaa, che è in liquidazione
2. Cepim, l’interporto
3. Soprip, che sta chiudendo
4. Parmabitare, non ci serve più
5. Parma turismi

Il Comune è poi socio o membro di diritto di altre società che però non hanno natura commerciale e quindi non sono coinvolte in questo elenco. Presto pubblicheremo anche quell’elenco, lo abbiamo chiesto agli uffici.

mar 252015
 
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di Giancarlo Castellani

Fidenza aderisce a “L’ora della Terra 2015”: la grande mobilitazione mondiale del WWF contro i cambiamenti climatici, che si attua con lo spegnimento simbolico delle luci dei monumenti e delle sedi istituzionali. Il Comune di Fidenza, da sempre attento ai temi ambientali, conferma così il suo impegno nella salvaguardia dell’ambiente e nella promozione di un’educazione sostenibile.

L’appuntamento è per sabato 28 marzo alle ore 20.30 quando l’illuminazione pubblica di piazza Garibaldi, piazza Verdi e piazza Matteotti si spegnerà per un’ora. Piazza Garibaldi si animerà già dalle ore 17.00 con uno stand del WWF che darà vita a iniziative di sensibilizzazione e informazione.

Fidenza vuole mandare un messaggio forte sul tema del risparmio energetico, della sostenibilità ambientale e delle energie rinnovabili. Vogliamo che l’educazione sostenibile sia sempre al centro dell’attenzione, dando quella continuità che favorisce una cultura del rispetto ambientale e porta i cittadini ad adottare comportamenti virtuosi.

E’ un’iniziativa nata nel 2007 in Australia e divenuta poi mondiale. Lo spegnimento delle luci di luoghi o palazzi simbolo delle città è un segno di sensibilità e attenzione al problema dei cambiamenti climatici: un fenomeno preoccupante in rapida evoluzione. Per fronteggiarlo dobbiamo impegnarci tutti, partendo dal risparmio energetico e dall’ottimizzazione dei consumi”, ha sottolineato il presidente di WWF Parma, Rolando Cervi.

Protagonisti dell’evento, insieme al Comune e al WWF, saranno gli studenti dell’Itis “Berenini”, che collabora con il WWF di Parma in modo strutturato: “L’itis Berenini ha una lunga tradizione di educazione sostenibile che si concretizza anche con due borse di studio che premieranno due progetti in tema di risparmio energetico, una finanziata dal WWF e l’altra da Azienda Sistema Energia. Il WWF collabora con noi anche in alcune iniziative didattiche che mirano a coinvolgere e sensibilizzare i ragazzi su questi temi”, ha detto il dirigente dell’Itis “Berenini”, Rita Montesissa.

mar 202015
 
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di Franco Amigoni

“Smart City” è un marchio che ha indubbiamente avuto negli ultimi anni un grande successo. E’ parso a molti che fosse sufficiente utilizzare quel marchio per accedere quasi magicamente alla città futura, a base di tecnologie straordinarie e di soluzioni per tutti. Naturalmente non è così, e il rischio che si è corso è stato quello di delegare nelle capienti mani delle multinazionali della tecnologia gli investimenti urbani.

Al contrario, le tecnologie devono essere soltanto uno strumento per un fine ben più grande, che può essere scisso in tre concetti: inclusione sociale, sostenibilità, sviluppo economico. Sempre di più occorre partire dai cittadini per utilizzare, anche grazie alla tecnologia, l’intelligenza collettiva di un luogo.

A Modena, per esempio, hanno creato un panel di oltre 5mila cittadini, che vengono ascoltati con regolarità su tutti i temi strategici. In molti altri luoghi è rinata negli ultimi anni, con metodologie e strumenti più moderni ed avanzati, quella progettazione partecipata che aveva visto gli albori in Italia negli anni settanta con Renzo Piano e altri. Smussati gli spigoli, con un approccio fortemente multidisciplinare, progettare in modo partecipativo è sempre più un caposaldo dell’azione amministrativa.

Ecco perchè a brevissimo partirà anche a Fidenza un programma dal gruppo consigliare PD fortemente voluto, anche in vista del POC e di altri importanti momenti di scelta per il bene comune, di formazione alla progettazione partecipata, con antropologi, sociologi, architetti, esperti di comunicazione, facilitatori.

Per alcune date che verranno molto presto comunicate amministratori, funzionari comunali, dirigenti, associazioni e cittadini impareranno (o perfezioneranno) gli strumenti per rendere il futuro un posto migliore insieme.

E’ uno dei primi passi, molti altri seguiranno. Il futuro è dietro l’angolo.

mar 172015
 
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154esimo Unità d’Italia, il messaggio del sindaco Massari

Un’Italia che deve ripartire. Un’Italia che può ripartire, soprattutto. Ripartire mettendo tutte le risorse possibili per affermare una comunità moderna, capace di togliere la testa dalla sabbia e di affrontare uno ad uno tutti i suoi problemi cronici. Gli arresti delle ultime ore sono, ancora una volta, lì a confermarlo.

Senza sconfiggere corruzione, illegalità, mafia non andremo da nessuna parte e bisogna che prima o poi cominciamo a dircelo con chiarezza. Far ripartire l’Italia non è solo una questione di Pil o di ripresa economica. Intendiamoci: tagliare la disoccupazione, mettere in condizione le nostre imprese di riprendere a correre, sono priorità vitali.

Ma il Paese serio e moderno che ho in mente – lo ripeto: moderno – sa che non ci sarà misura economica efficace senza aver risolto a monte tutta la sovrastruttura criminale e di scarsa moralità che fino ad oggi ha frenato ogni riforma degna di questo nome, indipendentemente dal colore del Governo che l’ha mandata avanti.

Nelle strade ci servono poliziotti, nelle scuole ci servono docenti premiati per la loro passione civile e non mortificati dal precariato a vita. Nelle case ci servono cittadini con diritti veri da spendere e non giovani ricattabili col contratto precario e privati del diritto a mettersi in piedi una famiglia.

Nella società ci servono più donne: trovo immorale che si dica loro che è più semplice congelare gli ovociti invece che realizzare un Paese in cui si può essere madri e lavoratrici, senza la costrizione umiliante del dover scegliere.

Nei palazzi delle Istituzioni ci serve onestà e meno pressapochismo di quello che riempie le pagine dei giornali, con cronache in cui chi deve vigilare sul comportamento dell’esecutivo – nazionale o locale che sia – tifa, invece, per il fallimento e non per per la ripartenza.

Allora, teniamocelo bene a mente che disonesti e fanfaroni, molto spesso, passano dal voto popolare.

Questo per dire che la scorciatoia del “sono tutti uguali” può essere molto comoda per mondarci la coscienza, ma non sposta di una virgola il problema di un’Italia che è ancora tutta da fare e nella quale i successi e i guai sono un patrimonio collettivo, costruiti con l’impegno di tutti o, per contro, con il menefreghismo generale.

Qualcuno scomoda concetti “alti” come un nuovo “patto di cittadinanza”, qualcuno vola più terra terra e si aspetta, semplicemente, che le Riforme siano pagate col contributo e la cura dimagrante di tutti quegli enti inutili che non hanno ancora dato alla causa.

In questo progetto per la nuova Italia, mettiamo, quindi, un bel punto fermo: 8.000 Comuni sono troppi, gestiamo con più velocità le fusioni e le unioni, ma mettiamoci in testa che dai Comuni passano servizi, opportunità, crescita. Dai Comuni e dalla loro possibilità di investire dipende tanta parte del nostro futuro.

Rimbocchiamoci le maniche e andiamo avanti a capo chino.

In questo 154 anniversario dell’Unità è il regalo più bello che possiamo farci e che possiamo fare all’Italia.

mar 102015
 
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Sostenere la ripresa economica e con essa dell’occupazione è un compito che deve mobilitare tutto il Paese, dal Governo fino ai Comuni, avendo ben chiari i campi d’azione di ciascuno. Gli spot, le passerelle, le misure un tanto al chilo per farsi belli sul giornale, non ci interessano.

Le misure possibili sono due: la distribuzione di (pochi) soldi a pioggia, con dei voucher che sanno molto di assistenzialismo. Oppure, un progetto che crea occupazione mettendo insieme più iniziative che vanno dal sostegno economico in cambio di una prestazione lavorativa concordata e arrivano fino ad incentivare le imprese ad assumere seguendo criteri innovativi.

Come consiglieri di maggioranza sosteniamo la scelta di campo netta per le riforme che sta portando avanti l’Amministrazione Massari.

Del resto, il nostro fiore all’occhiello sarà il riuso produttivo dell’area ex Cip-Carbochimica: in quella che era una delle aree più inquinate d’Italia, sta procedendo – unico caso in Italia – la bonifica e, una volta completata, sui terreni ripuliti il Comune sosterrà le imprese con no tax area, forme innovative di concessione delle superfici in cambio anche del sostegno alla buona occupazione.

Oggi presentiamo, intanto, 5 azioni mirate per dare una risposta immediata a chi è senza lavoro.

1) Il Comune di Fidenza presenterà un progetto entro fine mese di circa 80 mila euro partecipando al bando della Fondazione Cariparma per ricollocare chi ha perso il lavoro a causa della crisi.

2) Nei capitolati per la gare di appalto per la manutenzione della città sono stati inseriti nuovi requisiti sociali che introducono per la prima volta forme premiali nel punteggio che viene attribuito alle imprese se:
- assumono persone in condizioni molto svantaggiate (senza lavoro da almeno 24 mesi)
- assumono lavoratori svantaggiati ultra 50enni espulsi dal mondo del lavoro o disoccupati con una o più persone a carico
- prevedono forme premiali per l’assunzione di persone svantaggiate in cooperative sociali di tipo B

3) I nuovi appalto pluriennali di manutenzione della città – aggiudicati tra giugno e settembre – escluderanno l’affidamento col massimo ribasso, attribuendo all’offerta tecnica comprensiva dei requisiti sociali di cui sopra un punteggio prevalente. Tradotto: la cura di Fidenza sarà affidata a chi presenterà la qualità migliore e promuoverà il sostegno all’occupazione

4) La legge di stabilità 2015 ha finanziato 100 milioni di euro per interventi sui lavori socialmente utili, previ accordi tra Comuni e Regioni. Risorse che il Comune cercherà di intercettare con un piano ad hoc da discutere in Regione, appena sarà definito il quadro operativo.

5) Il Comune sta ridefinendo un insieme di affidamenti che si sono ripetuti sempre uguali negli ultimi anni (per prestazioni come la portineria in orari extra ufficio, i servizi di affissione pubblicitaria ecc.) per unire la sostenibilità economica a precise finalità di sostegno all’occupazione.

 Un quadro d’insieme che va molto oltre la logica del voucher, comunque bocciata da tanta parte degli interlocutori anche sindacali coi quali l’Amministrazione si sta rapportando. Un quadro, peraltro, che in Consiglio comunale l’opposizione si è rifiutata di ascoltare per inscenare il solito teatrino, rifiutando di contribuire a scrivere insieme una pagina concreta di sostegno a chi ricerca un lavoro.

mar 092015
 
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A contributo e contesto per le scemenze che ci tocca ascoltare in Consiglio Comunale, sulla necessità di limitare il sostegno a chi può dimostrare di essere “veramente fidentino e di esserlo da almeno due anni” (altrimenti niente sostegno), perchè gli altri, “quelli che dormono sulle panchine, non sono igienici”. In giro c’è anche chi propone un altro orizzonte. questo è l’orizzonte che ci appartiene

LA MARCIA CONTINUA
di Barack Obama

È un raro onore nella vita poter seguire uno dei tuoi eroi. E John Lewis è uno dei miei eroi. Mi viene da immaginarlo, adesso, quando – allora era molto giovane – John Lewis si svegliò quella mattina di cinquant’anni fa e si diresse verso Brown Chapel.

L’eroismo non era nella sua mente. Una giornata così non era sulla sua mente. Un brulicare di giovani con sacchi a pelo e zaini. Veterani del movimento che addestravano le nuove leve nelle tattiche della non violenza; il modo giusto per proteggersi quando si è attaccati. Un medico descriveva ciò che i lacrimogenifanno al corpo, mentre i manifestanti si appuntavano alla meglio istruzioni su come contattare i loro cari. L’aria era densa di dubbio, di apprensione e di paura. Trovavano conforto nel verso finale del canto finale che cantavano: “Non importa quale potrà essere la prova, Dio si prenderà cura di te; appoggia la tua stanchezza sul Suo petto, Dio si prenderà cura di te”. Poi, una mela nello zaino, e uno spazzolino da denti, un libro di diritto – tutto ciò che serve per una notte dietro le sbarre – John Lewis li condusse fuori dalla chiesa in una missione per cambiare l’America.

Presidente Bush e signora Bush, governatore Bentley, membri del Congresso, sindaco Evans, reverendo Strong, amici e concittadini americani: Ci sono luoghi, e momenti in America, in cui si è deciso il destino di questa nazione. Molti sono siti di guerra – Concord e Lexington, Appomattox e Gettysburg. Altri sono siti che simboleggiano l’audacia del carattere dell’America – Independence Hall e Seneca Falls, Kitty Hawk e Cape Canaveral. Selma è uno di questi luoghi.

In un pomeriggio di cinquant’anni fa, quanto della nostra storia turbolenta – la macchia della schiavitù e l’angoscia della guerra civile; il giogo della segregazione e la tirannia di Jim Crow; la morte di quattro bambine aBirmingham, e il sogno di un predicatore battista – si ritrovò su questo ponte.
Non fu uno scontro di eserciti, ma uno scontro di volontà; un confronto per determinare il significato dell’America.

E a causa di uomini e donne come John Lewis, Joseph Lowery, Hosea Williams, Amelia Boynton, Diane Nash, Ralph Abernathy, CT Vivian, Andrew Young, Fred Shuttlesworth, Martin Luther King, e tanti altri ancora, l’idea di un’America, giusta, un’America inclusiva, un’America generosa – quell’idea che alla fine ha trionfato.
Come è vero in tutto il panorama della storia americana, non possiamo esaminare questo momento isolato dagli altri. La marcia su Selma fu parte di una campagna più ampia che ha attraversato generazioni; i leader di quel giorno sono parte di una lunga serie di eroi.

Ci riuniamo qui per celebrarli. Ci riuniamo qui per onorare il coraggio di americani comuni disposti a sopportare manganellate e staffilate; gas lacrimogeni e cariche a cavallo; uomini e donne che, nonostante il fiotto di sangue e l’osso scheggiato rimasero fedeli alla loro stella polare continuando la marcia verso la giustizia.
Assunsero come insegna la Scrittura: “Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera” E nei giorni a venire, tornarono, e tornarono ancora. Quando la tromba suonava perché altri ancora si unissero a loro, il popolo arrivò – bianchi e neri, giovani e anziani, cristiani ed ebrei – sventolando la bandiera americana e cantando gli stessi inni pieni di fede e di speranza. Un giornalista bianco, Bill Plante, che allora faceva reportage sulle marce e che è qui con noi oggi, scherzava dicendo che via via che cresceva il numero dei bianchi, s’abbassava la qualità del canto. A quelli che marciavano, però, quelle vecchie canzoni gospel non dovevano essere mai risuonate così dolci.

Con il tempo, il loro coro avrebbe raggiunto il presidente Johnson . E avrebbe inviato loro una protezione, riecheggiando il loro appello alla nazione e al mondo perché ascoltassero: “We shall overcome“.

Che fede enorme avevano questi uomini e queste donne. Fede in Dio – ma anche fede nell’America.
Gli americani che attraversarono questo ponte non erano fisicamente imponenti. Ma diedero coraggio a milioni di persone. Non avevano alcun mandato elettivo. Ma guidarono una nazione. Marciavano come americani che avevano sopportato centinaia di anni di brutale violenza, e innumerevoli umiliazioni quotidiane – ma non cercavano un trattamento speciale, solo la parità di trattamento promessa loro quasi un secolo prima.
Quello che fecero qui si riverbererà nei secoli. Non perché il cambiamento che ottennero fosse preordinato; non perché la loro vittoria fosse completa; ma perché dimostrarono che il cambiamento non violento è possibile; che l’amore e la speranza possono vincere sull’odio.

Mentre commemoriamo quanto realizzarono allora, non possiamo dimenticare che, al tempo delle marce, molti al potere le condannavano più che lodarle. Allora, erano chiamati comunisti, meticci, agitatori venuti da fuori, degenerati sessuali e morali, e peggio ancora – tutto tranne il nome che avevano avuto dai loro genitori La loro fede è stata messa in discussione. Le loro vite minacciate. Il loro patriottismo contestato.
Eppure, cosa poteva esserci di più americano di quello che accadde in questo luogo?

Cosa potrebbe più profondamente rivendicare l’idea dell’America che persone semplici e umili – gente comune, gli oppressi, i sognatori non di alto rango, nati non per diventar ricchi o privilegiati, non di una sola tradizione religiosa, ma di tante – che convergono per dare forma al corso del loro paese?
Quale più grande espressione di fede nell’esperimento americano di questa; quale più grande forma di patriottismo; più della convinzione che l’America non è ancora finita, che siamo abbastanza forti da essere autocritici, che ogni generazione successiva possa guardare alle nostre imperfezioni e decidere che è in nostro potere rifare questa nazione perché s’allinei sempre più vicino ai nostri ideali più alti?
Ecco perché Selma non è un’estraneità rispetto all’esperienza americana. Ecco perché non è un museo o un monumento statico da contemplare da lontano. È invece la manifestazione di un credo scritto nei nostri documenti fondanti:

“Noi, il popolo degli Stati Uniti, al fine di perfezionare la nostra Unione…,
“Noi riteniamo queste verità autoevidenti, che tutti gli uomini sono stati creati uguali”

Non sono solo parole. Sono una cosa viva, un invito all’azione, un percorso di cittadinanza e un’insistenza nella capacità di uomini e donne liberi di plasmare il nostro proprio destino. Per i padri fondatori come Franklin e Jefferson, per leader come Lincoln e FDR, il successo del nostro esperimento di autogoverno riposava nel coinvolgimento di tutti i cittadini in questo lavoro. Questo è ciò che celebriamo qui a Selma. È tutto questo, quel movimento, un passo nel nostro lungo cammino verso la libertà.
L’istinto americano che portò questi giovani uomini e donne a prendere in mano la torcia e ad attraversare questo ponte è lo stesso istinto che spingeva i patrioti a scegliere la rivoluzione non la tirannia. È lo stesso istinto che ha attirato gli immigrati che hanno attraversato gli oceani e il Rio Grande; lo stesso istinto che portò le donne a conquistare il voto e i lavoratori a organizzarsi contro un ingiusto status quo; lo stesso istinto che ci portò a piantare una bandiera a Iwo Jima e sulla superficie della Luna.

È l’idea tenuta da generazioni di cittadini che hanno creduto che l’America sia un costante lavoro in progressione; che hanno creduto che amare questo paese richieda ben più che cantarne le lodi o evitare scomode verità. Richiede la rottura, talvolta, la disponibilità a battersi ad alta voce per ciò che è giusto e scuotere lo status quo.

Questo è ciò che ci rende unici, e cementa la nostra reputazione di faro di opportunità. I giovani che stanno dietro la cortina di ferro avrebbero visto Selma e, alla fine abbattuto un muro. I giovani di Soweto avrebbero sentito Bobby Kennedy parlare di barlumi di speranza e alla fine sarebbe stato messo al bando il flagello dell’apartheid. I giovani in Birmania sono andati in prigione, piuttosto che sottostare al governo dei militari. Dalle strade di Tunisi a Maidan in Ucraina, questa generazione di giovani può trarre forza da questo luogo, dove gente senza potere potè cambiare la più grande superpotenza del mondo, e spingere i loro leader ad ampliare i confini della libertà.

Hanno visto quell’idea diventare realtà a Selma, Alabama. L’hanno vista diventare realtà in America.
In seguito a campagne così, fu approvato il Voting Rights Act . Barriere politiche, economiche, sociali sono state buttate giù, e il cambiamento che questi uomini e donne hanno prodotto è visibile qui oggi nella presenza di africano-americani che guidano consigli d’amministrazione, che siedono in parlamento, che occupano cariche elettive dai piccoli centri alle grandi città; dal Congressional Black Caucus allo Studio ovale. I latinos sono passati attraverso quelle porte. Gli asiatico-americani, i gay americani, e gli americani con disabilità sono passati attraverso quelle porte. I loro sforzi hanno dato a tutto il Sud la possibilità di rialzarsi, non riaffermando il passato, ma trascendendo il passato.
A causa di quello che hanno fatto loro, le porte delle opportunità si sono aperte no

Che cosa gloriosa, avrebbe detto King.
Che debito solenne abbiamo con lui.
Il che ci porta a chiederci: come potremo ripagare questo debito?
In primo luogo, dobbiamo riconoscere che non basta la commemorazione di un giorno, non importa quanto speciale. Se Selma ci ha insegnato qualcosa, è che il nostro lavoro non è mai compiuto – l’esperimento americano di auto-governo dà da fare e dà uno scopo a ogni generazione.

Selma c’insegna, anche, che l’azione richiede che ci liberiamo del nostro cinismo. Perché quando si vuole il perseguimento della giustizia, non possiamo permetterci né compiacimento, né disperazione.
Proprio questa settimana, mi è stato chiesto se pensassi se il rapporto del Dipartimento di giustizia su Ferguson dimostri che, rispetto alla razza, poco è cambiato in questo Paese. Capisco la domanda, dal momento che la “narrazione” del rapporto è tristemente familiare. Esso evoca la forma di abuso e di disprezzo per i cittadini che diede origine al movimento dei diritti civili. Ma respingo l’idea che nulla sia cambiato. Quel che è successo aFerguson può anche non essere un fatto isolato, ma non è più endemico, o consentito dalla legge e dal costume; e prima del movimento dei diritti civili, lo era, eccome.

Faremmo un cattivo servizio alla causa della giustizia lasciando intendere che pregiudizi e discriminazione siano immutabili, o che la divisione razziale sia inerente all’America. Se pensate che nulla sia cambiato negli ultimi cinquant’anni, chiedete a qualcuno che visse nella Selma o nella Chicago o nella Los Angeles degli anni Cinquanta. Chiedi all’amministratore delegato donna che una volta sarebbe stata assegnata allo staff di segreteria se nulla è cambiato. Chiedi al tuo amico gay, se sia più facile esserlo a viso aperto ed esserne orgogliosi nell’America d’oggi di quanto non fosse trent’anni fa. Negare questo progresso – il nostro progresso – sarebbe derubare noi stessi del nostro agire; della nostra responsabilità di fare tutto il possibile per rendere l’America migliore.

Certo, l’errore più comune è quello di far intendere che il razzismo sia stato tolto di mezzo, che il lavoro che portò uomini e donne a Selma sia stato completato, e che qualsiasi siano le tensioni razziali che restano esse siano una conseguenza di coloro che cercano di giocare la “carta della razza” per i loro scopi. Non abbiamo bisogno del rapporto su Ferguson per sapere che non è vero. Abbiamo solo bisogno di aprire gli occhi, e le orecchie, e il cuore, sapere che la storia razziale di questa nazione getta ancora la sua lunga ombra su di noi. Sappiamo che la marcia non è ancora finita, la corsa non è ancora vinta, e che il raggiungimento di tale meta benedetta dove si è giudicati in base al contenuto del nostro carattere, richiede che lo si ammetta.

“Siamo in grado di sopportare un grande peso”, ha scritto James Baldwin , “una volta che scopriamo che quel peso è realtà e arriviamo dove la realtà è.”

Questo è un lavoro per tutti gli americani, non solo per alcuni. Non solo per i bianchi. Non solo per i neri. Se vogliamo onorare il coraggio di coloro che marciarono quel giorno, allora tutti noi siamo chiamati a far propria la loro immaginazione morale. Tutti noi avremo bisogno di sentire, come fecero loro, l’urgenza appassionata dell’adesso. Tutti noi abbiamo bisogno di riconoscere, come fecero loro, che il cambiamento dipende dalle nostre azioni, dai nostri atteggiamenti, dalle cose che insegniamo ai nostri figli. E se facciamo questo sforzo, non importa quanto difficile possa sembrare, le leggi possono essere approvate, e le coscienze possono essere smosse, e si può costruire il consenso.

Con un simile impegnopossiamo far sì che il nostro sistema di giustizia penale serva tutti e non solo alcuni. Insieme, saremo in grado di elevare il livello di fiducia reciproca su cui si basa l’azione di polizia – l’idea che gli agenti di polizia sono membri delle comunità per proteggere le quali rischiano la vita, e i cittadini di Ferguson, New York Clevelandsemplicemente vogliono la stessa cosa per la quale i giovani marciarono qui – la protezione della legge.

Insieme, saremo in grado di affrontare la condanna ingiusta, le carceri sovraffollate, e le circostanze asfittiche che rubano a troppi ragazzi la possibilità di diventare uomini, e rubano alla nazione troppi uomini che potrebbero essere bravi padri, lavoratori, vicini di casa.

Sforzandoci saremo in grado di combattere la povertà e i blocchi che ostruiscono i percorsi di opportunità. Gli americani non accettano il biglietto gratis per chiunque, né crediamo che i risultati siano tutti uguali. Ma ci aspettiamo pari opportunità, e se lo diciamo sul serio, se siamo disposti a sacrificarci per questo, possiamo fare in modo che ogni bambino riceva una formazione adeguata a questo nuovo secolo, che espanda l’immaginazione e faccia alzare gli occhi e dia loro le necessarie competenze. Possiamo fare in modo che ogni persona disposta a lavorare abbia la dignità di un lavoro, e un salario equo, abbia voce in capitolo, e pioli più robusti sulla scala che porta su alla classe media.

E sforzandoci ancora, saremo in grado di proteggere le fondamenta della nostra democrazia per la quale tanti marciarono attraverso questo ponte – ed è il diritto di voto. In questo momento, nel 2015, cinquant’anni dopo Selma, ci sono leggi in tutto il paese fatte apposta per rendere più difficile per la gente andare a votare. Mentre parliamo, altre leggi così vengono proposte. Nel frattempo, il Voting Rights Act, il culmine di tanto sangue e sudore e lacrime, il prodotto di tanto sacrificio di fronte alla violenza sfrenata, si trova indebolito, il suo futuro è vittima di rancore partigiano.

Come può essere? Il Voting Rights Act è stato uno dei massimi successi della nostra democrazia, il risultato dello sforzo congiunto repubblicano e democratico. Il presidente Reagan ne firmò il rinnovo, quando era in carica. Il presidente Bush firmò il suo rinnovo, quando era in carica. Un centinaio di membri del Congresso sono venuti qui oggi per onorare le persone che erano disposte a morire per il diritto che tutela. Se vogliamo onorare questa giornata, fate sì che questi cento parlamentari tornino a Washington, e ne riuniscano altri quattrocento, e insieme, s’impegnino a farne la loro missione il ripristino della legge quest’anno.

Naturalmente, la nostra democrazia non è compito del solo Congresso, o solo dei tribunali, o solo del Presidente. Se ogni nuova legge di soppressione degli elettori fosse annullata oggi, avremmo ancora uno dei tassi più bassi di voto tra i popoli liberi. Cinquant’anni fa, la registrazione per votare qui a Selma e in gran parte del Sud era come indovinare il numero di giuggiole in un barattolo o le bolle di una saponetta. Significava rischiare la dignità, e, a volte, la vita. Qual è la nostra scusa oggi per non votare? Come facciamo con tanta disinvoltura a scartare il diritto per il quale tanti hanno combattuto? Come facciamo a dar via del tutto il nostro potere, la nostra voce, nel plasmare il futuro dell’America?

Cari amici che marciaste allora, quanto è cambiato in cinquant’anni. Abbiamo sopportato la guerra, e costruito la pace. Abbiamo visto meraviglie tecnologiche che toccano ogni aspetto della nostra vita, e diamo per scontate comodità che i nostri genitori non avrebbero neppure potuto immaginare. Ma ciò che non è cambiato è l’imperativo della cittadinanza, quella volontà di un diacono di 26 anni, o di un ministro della chiesa Unitaria, o di una giovane madre di cinque figli, da decidere di amare talmente questo paese da rischiare tutto per realizzare la sua promessa.

Questo è ciò che significa amare l’America. Questo è ciò che significa credere nell’America. Questo è ciò che significa quando diciamo che l’America è eccezionale.
Perché siamo nati dal cambiamento. Abbiamo rotto le vecchie aristocrazie, dichiarandoci titolari di diritti, non per discendenza di sangue, ma perché dotati dal Creatore di certi diritti inalienabili. Tuteliamo i nostri diritti e responsabilità attraverso un sistema di autogoverno, del, dal e per il popolo. Ecco perché discutiamo e ci confrontiamo con tanta passione e convinzione, perché sappiamo che i nostri sforzi contano. Sappiamo che l’America è ciò che facciamo di essa.

Siamo Lewis, Clark e Sacajawea – pionieri che sfidarono l’ignoto, e sarebbero stati seguiti da contadini e minatori, imprenditori e imbonitori. Questo è il nostro spirito.
Siamo Sojourner Truth Fannie Lou Hamer, donne che potevano fare tanto quanto un qualsiasi uomo e anche di più; e siamo Susan B. Anthony, che scosse il sistema fino a quando la legge non riflettè quella verità. Questo è il nostro carattere.
Siamo gli immigrati arrivati clandestinamente in nave per raggiungere questi lidi, siamo le masse di popolo che bramano di respirare liberamente – i sopravvissuti all’Olocausto, i disertori sovietici, i Lost Boys del Sudan. Siamo i disperati pieni di speranza che attraversano il Rio Grande, perché vogliono che i loro figli conoscano una vita migliore. Ecco come siamo arrivati a essere quel che siamo.
Siamo gli schiavi che costruirono la Casa Bianca e l’economia del Sud. Siamo gli stallieri dei ranch e i cowboy che aprirono la strada al West, gli innumerevoli operai che posero le rotaie ed eressero i grattacieli, e che si organizzarono per i diritti dei lavoratori.
Siamo gli imberbi soldati che combatterono per liberare un continente, e noi siamo i Tuskeegee Airmen, siamo i decrittatori Navajo, e i nippo-americaniche combatterono per questo paese anche se la propria libertà fu loro negata. Siamo i vigili del fuoco accorsi in quegli edifici l’11 settembre, e i volontari che si sono arruolati per combattere in Afghanistan e in Iraq.

Noi siamo i gay americani, il loro sangue scorreva per le strade di San Francisco e di New York, così come il sangue scorreva giù per questo ponte.
Siamo i narratori, gli scrittori, i poeti e gli artisti che aborrono l’ingiustizia, e disprezzano l’ipocrisia, danno voce a chi non ha voce, e raccontano verità che devono essere raccontate.
Siamo gli inventori del gospel e del jazz e del blues, del bluegrass e della country, dell’ hip-hop e del rock ‘n’ roll, i nostri stessi suoni con tutto il dolce dolore e la gioia sfrenata della libertà.
Siamo Jackie Robinson, quanto disprezzo nei suoi confronti e palle [baseball] scagliate dritte contro la sua testa, eppure quante home rubate nella World Series.

Noi siamo il popolo che, come ha scritto Langston Hughes, “costruisce i nostri templi per domani, forti come sappiamo.”
Noi siamo il popolo che, come ha scritto Emerson, “per il bene della verità e dell’onore sta con la schiena dritta e soffre a lungo”, siamo gente che “non si stanca mai, finché possiamo vedere abbastanza lontano.”

Ecco che cos’è l’America. Non è uno stock di foto, non è storia nebulizzata o deboli tentativi di definire alcuni di noi come più americani di altri. Rispettiamo il passato, ma non ci struggiamo per il passato. Non temiamo il futuro; vogliamo afferrarlo. L’America non è un qualcosa di fragile; siamo grandi, nelle parole di Whitman, conteniamo moltitudini. Siamo vivaci, un popolo variegato e pieno di energia, perennemente giovane nello spirito. Ecco perché qualcuno come John Lewis all’età matura di 25 anni poteva guidare una possente marcia.

Ed è quello che i giovani qui oggi e in ascolto in tutto il paese devono prendere da questo giorno. Tu sei l’America. Non vincolato da abitudini e convenzioni. Libero dall’impaccio di quel che è, e pronto a cogliere ciò che dovrebbe essere. Perché ovunque in questo paese, ci sono i primi passi da intraprendere, e nuovi percorsi da battere, e ponti da attraversare. E sei tu, giovane e senza paura nel cuore, la generazione più plurale e istruita nella nostra storia, che la nazione è in attesa di seguire.

Perché Selma ci mostra che l’America non è il progetto di una sola persona.
Perché la parola più potente nella nostra democrazia è la parola, “we”, “noi”.We The People. We Shall Overcome. Yes We Can. Non è proprietà di nessuno. Appartiene a tutti. Oh, che glorioso compito ci è dato, cercare continuamente di migliorare questa grande nostra nazione.
A cinquant’anni dal Bloody Sunday (Domenica di Sangue), la nostra marcia non è ancora finita. Ma ci siamo vicini. A 239 anni dalla fondazione di questa nazione, la nostra unione non è ancora perfetta. Ma ci siamo vicini. Il nostro lavoro è più facile, perché qualcuno ci ha già portato oltre quel primo miglio. Qualcuno ci ha già fatto passare attraverso quel ponte. Quando la strada si farà troppo dura, quando la torcia che ci è stata passata sembrerà troppo pesante, ci ricorderemo di questi primi viaggiatori, trarremo forza dal loro esempio, e ci atterremo saldamente alle parole del profeta Isaia:
“Quelli che sperano nell’Eterno acquistan nuove forze, s’alzano a volo come aquile; corrono e non si stancano, camminano e non s’affaticano”

Onoriamo coloro che hanno camminato cosicché noi potessimo correre. Dobbiamo correre così i nostri figli voleranno. Non ci stancheremo. Perché crediamo nel potere di un Dio eccelso, e crediamo nella sacra promessa di questo Paese.
Possa Egli benedire quei guerrieri della giustizia non più con noi, e benedica gli Stati Uniti d’America.

n solo per gli africano-americani, ma per ogni americano. Le donne hanno marciato attraverso quelle porte.